SESSANTOTTO ROUGE et NOIR
(more & more)
Ieri aveva postato un excerptum sul ’68 tratto dal mio romanzo premiato.
Ora posto un altro estratto che, a dire il vero, lo precedeva, ma può essere
letto a sé stante.
Ma come mai questo interesse per un
periodo di cui non si parla più (come del resto dei “figli dei fiori”, dell’”Età
dell’Acquario” ecc)? Perché è vero che il passato è
passato e che non ci sono più i futuri di
una volta (il che è ancor più vero), ma il nostro oggi ha bisogno sempre
più di riferimenti, fosse pure per rinnegarli…
E poi, c’è sempre in me il piacere (catartico) della “scrittura”, kalòs kai agathòs, per il colto e
l’inclita. A tal proposito, mi piace sempre ricordare quello che una critica
letteraria (nonché scrittrice e ideologa, per quanto “politicamente
scorrettissima”) disse del mio romanzo di tras-formazione,
dalla scrittura da “derviscio danzante”:
“…uno straordinario romanzo-rapsodia, fervido di vita e voci, di
ritmi e canti e risa, dal profumo di ingenue aurore. Dallo stile unico, affilato e morbido,
un fluire di sapienze ed eresie in connessione tra di loro … Vorticoso nel suo
ritmo da derviscio tournant, vibrante di tensione e trepidazione, ossimorico
nei suoi dolci contrasti, dalla scrittura vivace, geniale, estetizzante, ma
tutt'altro che décadent, capace di affratellare Policleto e i Beatles. Un
‘panta rei’ entusiastico ed entusiasmante, un fluire di sapienze ed eresie,
dall’oscillare inarrestabile, ebbro … una scrittura da giocoliere della parola
e da funambolo della nuance. Uno squarcio sulla cortina che separa il mondo
reale da quello del 'sogno'. Uno sfarfalleggiante battito d’ali che può
trasformarsi in un concerto polifonico dagli esiti non ancora immaginabili.”
Ecco, quindi, il secondo stralcio.
”Meglio essere un delinquente che un
borghese” aveva
dichiarato lapidariamente il giovane Ernst Jünger. Prima pietra. La seconda: “…e mentre io guardo la tua pace, dorme quello spirto guerrier ch’entro mi rugge.” Conclusione
(foscoliana. Ai limiti del fosco, e del bosco): si svegliò guerriero. E Lorenzo, leopardato e jeopardized, iniziò a tirare le pietre (e non era brutto…).
Fu lì e allora –
nella Firenze post-alluvione (ma in pieno diluvio da turning-point
esistenzial-planetario) – che, smessi gli inamidati abiti da borghese piccolo
piccolo, acceso dai sinistri fuochi di Lotta Continua, destreggiandosi
a piedi nudi sui carboni ardenti di Lotta di Popolo, Lorenzo-mix sessantottino,
fascio e martello, fiamma e celtica, Sturm
und Drang, scacciò, drag-king, il pulviscolo terra-terra. Dopo di
che, (re)suscitato l’anarco-esistenzialista jüngeriano (e dintorni), da sempre
accovacciato alla porta del suo animo – rebel, free lance, nemico della
società del caos organizzato –, gettò via la maschera pirandelliana e indossò
quella, tragica, di Mishima. Lui voleva avere
‘stomaco’, voleva essere saldo e
valoroso. Soprattutto, vigoroso. Lorenzo voleva volare…
Alea iacta est. Spada (e arco) in mano e lancia (e
clava) in resta (con in testa il martello degli dèi – lo zeppeliano The
hammer of the gods ), il ‘baldo’, da imbolsito e zeppoloso che era, si
scremò e, screaming, iniziò a
confessare baldanzosamente a destra e a manca i suoi peccatucci
borghesi. Quindi, lasciata la strada maestra (ma presa quella magistra), sospinto da questo fresco
‘mistral’ – che aveva spazzato via scirocco e smog –, raggiunse senza battere
ciglio il burrone. I tempi per il salto (e il saluto) ‘fascista’ (sia pure
sessantottino) erano maturi. Nuovi profumi, nuovi finimenti. E non c’era solo
Marte (o Odino), ma anche Hermes. Nuovi
profumi.
Lorenzo si buttò.
“Col compiersi del mio sviluppo, si
acutizzarono in me l’insofferenza per la vita normale alla quale ero tornato,
il senso dell’inconsistenza e della vanità degli scopi che normalmente
impegnano le attività umane. In modo confuso ma intenso, si manifestava il
congenito impulso alla trascendenza.” Frattali e frattaglie. Mentre a Berkeley, a Parigi, nelle
stesse Firenze e Pisa, quando non infuriava la battaglia c’era per lo meno
l’odore acre delle scaramucce (e di molotov e lacrimogeni), Lorenzo, chiuso –
blindato – nella sua stanza (la pensione per studenti – i suoi si sarebbero
trasferiti a Firenze da lì a poco), s’incartava cercando invano (indArno)
di scacciare le mosche che gli si appiccicavano addosso.
Aveva scartato l’inessenziale, ma l’essenza latitava (troppi i ‘buchi’
dell’anima da riempire). Tanto più la sua vocazione. Solo presunta. Continuava
a sbattere come un lattante la testa contro la finestra chiusa (fosse stato
donna, contro il soffitto di cristallo, se non di marmo), nella
speranza di raggiungere una realtà che non riusciva ad afferrare. Per dirla con
Baudrillard, era come una mosca di fronte ad un vetro.
“C’è un tempo per costruire e un tempo per vivere e generare. E un tempo
perché il vento rompa il vetro sconnesso…” Finché ci riuscì (a infrangere la vetrata, senza spiaccicarvisi
sopra). Uscito dall’impasse con l’aiuto (il vento)
di Julius Evola e del suo congenito impulso alla trascendenza (e di
Thomas Eliot e i suoi Quattro Quartetti). Il filosofo maledetto (Julius)
– il nichilista aristo-creativo, il ‘barone nero’, il no-global ante-litteram
che non dispiace a Max Cacciari il filo-lagunare – lo aveva aiutato, col
suo bastone, a uscire dal gregge belante per entrare nel branco ululante. Fuori
dal recinto maleodorante per introdursi, nottetempo, nella selva oscura, il
bosco prêt à porter da sradicare e portarsi appresso, come un giovane
Jünger ribelle (quello che piace pure a Roberto Saviano,
l’anti-camorra/gomorra).
Quinto: uccidi il padre e la
madre. Lorenzo: il giovane novizio da iniziare alla vera vita, allontanato dalla madre (non solo quella biologica, ma
anche quella ‘social-borghese’) per essere condotto nella ‘foresta’, per ivi morire
e rinascere (simbolicamente e nei fatti). Eden pagano scippato agli dèi. Pagato
a caro prezzo. E senza usura, alla Ezra Pound (e con Jerry Rubin, e gli altri
beat e radical west coast, a dettare
i nuovi ‘comandamenti’). Hashish e
mirra contro ogni camarilla. Cameratescamente. Giardino inaccessibile, intorno
a cui ruggiva il leone e in cui strisciava, sbuffando, il leviatano, un po’ biscione,
un po’ caimano (Berluska era ancora di là da venire).
“Non verso Nord o verso Sud, né Est né Ovest, ma verso l’Alto...” Tra due pesi (e misure), ma
imponderabile. I tre fili – quello bianco, la pulsione ascendente; il rosso, la
tendenza espansiva; quello nero, la pulsione discendente – fittamente
intrecciati. Pronti a slacciarsi. E a diventare uno. Fili lunghi, ma resistenti. Dacci un taglio! Lorenzo,
il filosofo da srotolare… Senza misura: un po’ global un po’ no; figlio
naturale degli hippies e, hip-hop, della droite barricadera. In the cut.
Lui era per l’et-et più che per l’aut-aut. Ma non per questo si era fermato. Con il suo vel vel era andato oltre il velo (anzi,
l’aveva stracciato). Al seguito di Péguy e Sorel era andato oltre. Al di là
della serra riscaldata del conservatorismo spicciolo e del perbenismo borghese.
Ma non era un ultrà. Evaso dalle
gabbie della vita non vissuta, mercificata, aveva percorso, sulle tracce
dell’ombroso Heidegger (non solo Jünger), gli Holzwege, i ‘sentieri del
bosco’, i sentieri interrotti, che, pure, portano alla Lichtung, la
‘radura’ dell’esistenza autentica. Un sentiero luminoso per
Lorenzo, in cerca di lumi.
Parto cesareo del ’68, il Lorenzo-matricola. Levatrici: Sartre, Reich,
Burroughs, ma anche Evola, Spengler, Jünger. Due tris in attesa del poker (poi
sarebbe venuta la scala reale). Svezzato,
a giochi (laurea) fatti, col pensiero antiglobale di Toni Negri e, manco a
dirlo, con le dritte di Alain De Benoist. E la sua rottura epistemologica
con la destra cadente. Lui cercava nuovi astri, oltre lo star-system. Figlio
del Sole, non meno che delle stelle. Solare, stellare, lunatico. Anarca e Miles
(gloriosus), Davide e Golia (di Jonathan manco a parlarne). Oltre le antinomie
‘destra-sinistra’, ‘conservazione-rivoluzione’, ‘hippy-yuppy’, alla ricerca di
una sintesi originale. Che tardava a nascere…
Epos ai confini dell’eros, questo il suo antidoto contro la banalità del
quotidiano. Kulturkampf esistenziale.
Progettualità viva piuttosto che memoria morta (e corta). Voleva andare avanti
voltandosi, di tanto in tanto, indietro. Tantum verde e tantra nero. Tramonto
dell’Occidente, alba dell’Oriente (non quello massonico, ma il messianico). Con
Guénon, Aurobindo e Coomaraswamy a offrirgli mammelle sempre gonfie di latte. E
Mishima pronto a dargli il suo mantello (e il pugnale).
Lorenzo: cuore nero, mente rossa, spirito viola. Grillo parlante.
Ma anche cicala. E farfalla. Un po’ grullo (grillino ex ante? Ai posteri
l’ardua sentenza…). Ingenuo, alla latina (in-gens:
gentilizio, ma alla buona). Nobile di umili origini, povero di spirito.
E si sa, i poveri di spirito sono il
regno dei cieli. Spirituale, subsonico, individualista anarchico. Nero,
rosso, un po’ verde (bossiano ex ante? Finiano, piuttosto, a latere, sia di Gianfranco sia di Massimo): questo, in sintesi,
Lorenzo l’ambidestro, futuro e libertà, il
pastore-guru risvegliatosi dall’’ipnosi cristallizzata’ dell’uomo comune, il
poeta Pound & Kerouac di una
nuova mistica e di un nuovo mito. Pieno di devozione verso tutto ciò che è
nobile, con la vocazione a guardare lontano e a volare alto. Pronto a far dei
polli delle aquile, delle pecore lupi…
Lupus in fabula. Lupus
eritematoso, coma assistito, noia mortale, nausea. “E uccidemmo la
noia annoiando la morte e vincemmo soltanto cantando più forte. Ora siamo
lontani siamo tutti vicini e lanciamo nel cielo i nostri canti assassini.” ’Divina
mania’, furore elitario, guerra eraclitea, dionisismo pacificato dalla grazia
apollinea del grande stile. Che fico! E che sfascio…
Ma poi, Lorenzo
– arriviamo al dunque – era veramente ‘fascio’ o ‘nazi’? C’era nel suo animo,
l’aura, la Stimmung, lo spleen da ultimo tango ariano alla
Massimo Morsello, il cantore nero? (Lorenzo, a onor del vero, preferiva
Francesco De Gregori, Guccini e Claudio Lolli – e poi, negli anni dell’immaginazione
al potere, Massimo era poco più che un bambino). E fin dove era ariano? “Sei nazifascista?” “Quel che basta”
rispondeva Drieu La Rochelle. E Lorenzo? Quel
che serviva per dare sapore alla minestra…
Sì, è vero, lui voleva opporsi alla
‘deriva plebea’, far terra bruciata tutt’intorno al milieu petit-bourgeois (e ai suoi
‘fuochi fatui’), ma la nicciana ‘razza dei signori’ di cui tanto parlava era solo
questione di ‘qualità’, non di ‘catalogo’: a Lorenzo non interessavano colore
della pelle, moneta, titoli… Se ne fregava! A lui bastava l’onore. In lui
urgeva l’Übermensch nicciano (e stavano nascendo il ‘terzo uomo’ di
Giorgio Locchi e il transumanista dei
suoi epigoni), colui che sa che ‘Dio è morto’ (ma Cristo stava per bussare alla
porta) e de-cide, di conseguenza, di forgiarsi da sé il proprio destino. Social-aristocratico, per così dire (un
po’ sorcio, un po’ aristogatto, per essere più precisi). E poi, quanto a
ortodossia, non era nemmeno un ‘Testimone di Evola’ doc! Con tutti quei suoi
sconfinamenti rock e beat… Ed è pur vero che Julius aveva avuto i suoi
trascorsi dadà.
Dudù e cocò a passi di tango. Ma lui amava il rock (e gli scrittori
e poeti beat). Lorenzo on the road: tra Jack Kerouac e Jack
Frusciante. Doveva
andare e non fermarsi finché non era arrivato: Andare dove? Non lo sapeva, ma
doveva andare… Eppure
era realista, voleva l’impossibile. Ed era ben ‘collocato’: convitato di pietra
tra Allen Ginsberg ed Ezra Pound, americani contro, intento come loro a
fumare pensieri alternativi e marijuana d’ordinanza al suono dei Fab Four di
Liverpool. E a sfiorare (solo sfiorare…) il ben più deflorante LSD, alla
Timothy Leary e alla Ernst Jünger (lasciamo nell’armadietto l’etere dell’Evola
pischello). Ma lui era più per Jack Kerouac, specie (l’avrebbe capito dopo)
quello di: “Io non avrei scritto nulla di Gesù? …tutto ciò su cui scrivo è
Gesù.”
Sì, anche Lorenzo era on
the road, come quei due bei tomi dreamers che fanno l’autostop fino in California alla ricerca di un
qualcosa che non riescono a trovare veramente. Per poi perdersi on the road e tornare ingloriosamente
indietro – back home – con la
speranza di trovare qualcos’altro…
“Eccolo qui tutto adunato insieme, questo secolo del reale e del
conoscere, in cui lo spirito ha creato la statistica e l’analisi dell’orina, in
cui la tabella trionfava e la creazione sprofondava…” Lorenzo era, in definitiva, un enfant
du siècle (malgré Gottfried
Benn). Nondimeno, avvertiva nel profondo la crisi dell'uomo moderno (come G.
B.). Di qui il suo vagabondaggio intellettuale, la sua recherche. Anche
USA e UK. Woodstock e Isola di White. Bianco e Nero. USA e jet (più che altro,
autostop). Sunset boulevard e route six six six (poi sarebbe passato a Sunset @ Cafe Del
Mar). Ragazzo selvaggio alla Burroughs, chitarra e bandiera in mano, warrior, Lorenzo (dalle bande nere)
voleva diventare artefice e padrone del suo destino. Alla ricerca del ‘paradiso
possibile’.
“Paradise now”. “L’immaginazione al potere”, “siamo
realisti, vogliamo l’impossibile”, “dimenticate ciò che avete imparato,
cominciate a sognare!” Affascinato
dalla gioventù ribelle, immaginifico futurista alla Marinetti, trans-idealista
e trans-esistenzialista alla Evola, situazionista alla Debord, in attesa di
diventare transumanista… Questo il succo del Wikipedia-tour giro-girotondo
intorno a Lorenzo, sempre in fase d’implementazione. D’altronde, il nostro
voleva degustare tutto, ingoiare cucchiaio e città… Swallow: la
controcultura giovanile, la beat generation, i concerti rock. Wow: le droghe allucinogene (ma solo in
sogno) per “aprire le porte della
percezione.” Sogno e realtà. Doors. Apri
quella porta… Fantasia e ragione. A
magical mystery tour.
“Vedo la realtà e mi chiedo: perché? Sogno l’impossibile e mi chiedo:
perché no?” Come Bob Kennedy, anche Lorenzo sognava. Un po’ Martin Luther King, un
po’ King Crimson. Sognatore alla corte del ‘re cremisi’. The
‘dreamer’ (anche un po’
alla Bertolucci, ma lui era per Ultimo
tango a Parigi – quello sì che era Marlon Brando…), alla ricerca spasmodica
del graal della purezza ancestrale, della lancia di Longino da brandire, delle
sempre fresche fonti della sacralità e del vitalismo. Giovinezza, giovinezza. Da blandire (e
vecchiaia da bandire). Come Drieu La Rochelle, “il suo spirito era abituato a confrontare la vecchiezza di oggi, che
si dibatte con scosse secche e nervose, alla giovinezza creatrice con le sue
armonie calme e piene.”
In disagio sì, ma sempre impiedi, a galla. Non affondato nel
mare giallo del terrorismo black-block, o cullato dalle stagnanti acque – mar
morto – del nichilismo senza speranza. Lui era per la vita, anche salata, per
il vivere pericolosamente (almeno in
teoria. Quanto ai fatti, è un’altra
storia). Ma con stile. Per dirla alla Anna K. Valerio – una young angry woman dei giorni nostri – “i
fascismi spalancarono praticamente, e
non solo per sistemi filosofici, le possibilità di un mondo, di una vita, di un
universo di là dal bene e dal male. Un universo extramorale, tutto sangue e
stile. Mirarono a opporre il sangue e lo stile – il sangue che, nella razza, è
già stile; lo stile che, nell’eugenetica, o nel contegno delle SS, tende alla
vita, perché vuol fare più bella la vita – al bene e al male. Mirarono a
opporre la voluttà di egemonia, di eccellenza, il mantice del mito, al
condizionamento cristiano dell’innocenza, al feticcio della esistenza
individuale: i tripudi dell’orda alle emozioni del singolo, la grandiosità alla
meschinità, nell’impassibilità della grande passione.”
E così, tra la schiavitù accettata e la violenza rivoluzionaria
– pensò il nostro in un ‘ascesso’ alla Camus – la creazione è la vera libertà,
il più umile e il più fiero sforzo umano. E lui era un creativo. Alternativo.
Pieno di humus (e humour). Ma non di tritolo. Ed era riuscito a non farsi
adescare dal richiamo delle sirene del velinismo sanbabilino o pariolino tutto
ray-ban e stivaletto a punta (con un’eccezione per i jeans Fiorucci), né dal
razzismo più bieco, dall’antisemitismo logoro e liso o dall’anticomunismo
viscerale. Lorenzo cercava un’autentica Scienza dello Spirito (non le SS – ma
lo Spirito Santo, quello sì. In ogni caso, lo aspettava, più prosaicamente,
Scienza delle Costruzioni). Voleva andare oltre l’iconostasi che vela lo spazio
sacro. Veleggiava verso mete più lontane. E più alte. Un’odissea apparentemente
senza fine.
Anno zero. Il fascino della nuova età. La
Golden Age. Non che Lorenzo-Ulisse avesse paura del Kali-Yuga, l’attuale
età del ferro (arrugginito). Era moderno quel che bastava. Anzi post-moderno
(ante-litteram). Tutto ciò che è
nuovo è buono. In lui, eclettico puro, assolutamente (e
ossimoricamente) relativista (ma in linea con quel buon diavolo di Drieu La Rochelle), convivevano – pacificamente
belligeranti nell’estetica dell’azione – l’epopea
fiumana e la tradizione romana, Cristo e Buddha, Odino e Thor, il
Signore degli Anelli e il Dio degli Eserciti. Dal Sabaoth al riposo sabbatico
(mai Black Sabbath, però – black
block quel che basta). Elettrico. Elastico. Eletto (prescelto dagli dèi).
Prolettico. Profetico. E soprattutto, giovane.
Lorenzo, forever
young. Questa la sua profilassi. Giorno
dopo giorno, anno dopo anno. E con l’’erba’ che cominciava a crescere
(evolianamente, la sua ulteriorità in
divenire). Ma Lorenzo non faceva di tutta l’erba un fascio. ‘Fascista’, se
si vuole, ma oltre. Più di fantasia che di realtà. Ma non ultrà (su questo lui
insisteva, ma si considerava comunque un extra).
Oltre la Destra, oltre la Sinistra. Non in mezzo. Su di un altro piano (e un altro pianeta…).
Così in alto, così in basso. In terza posizione. Antesignano del
movimentismo giovanile di destra anni ’70 – e post –, di quel gran coagulo di
stelle filanti, ferventi e frementi, anelanti (e adelanti) il comunitarismo
libertario e l’individualismo anarchico. Galassia antropologicamente colorata,
(dis)articolata e (dis)ordinata: tante destre quanti erano i giovani di destra.
Nessun commento:
Posta un commento