lunedì 13 luglio 2020

SESSANTOTTO ROUGE et NOIR


  SESSANTOTTO  
ROUGE et NOIR

Volteggiando su Facebook mi è capitato d’incocciare chi presume di parlare del ’68 essendo nato negli anni ’60… o, pur più datato, non l’ha vissuto veramente sul campo (io, ancor giovincello, l’ho vissuto pericolosamente, cariche di polizia incluse, tra una lezione universitaria e uno speed date in Piazza dei Miracoli, all’ombra della Torre; e ho fatto incontri con uomini straordinari…).
Ecco, quindi, sia pur con qualche “travisamento” (ma la realtà era ancor più vivida), un breve stralcio del mio ’68 sul campo (dei miracoli, e non solo). Lì si forgiò gran parte del mio da-sein (esser-ci). E lì si sviluppò la mia Weltanschauung (visione del mondo), tra Oriente e Occidente, in posizione “meta” tra Destra e Sinistra: in particolare, un mio amico universitario (nazimaoista si definiva – o anarco-fascista) dalla sua Terza Posizione m’introdusse definitivamente a Nietzsche (per dirne una passò un’intera notte prima degli esami a “spiegarmi” Così parlò Zarathustra). E così imparai a cavalcare la tigre…
Lo stralcio, come spesso accade, è tratto dal mio Gocce di pioggia a Jericoacoara (Lorenzo è il mio avatar/alterego).

     Il ‘68 …non solo comunista. Anche fascista. Il diavolo e l’acqua santa, il rosso e il nero. Rozzo ma sincero. Vero. Paradossale, stendhaliano, ma solo fino a un certo punto. Back in Black. Lorenzo aveva scoperto un ‘fascismo’ nuovo. Diverso dalla destra con la forfora (fosse solo questo: “le loro giacche dai colori ridicoli, le cravatte, Dio, che cravatte… le scarpe con la para, la forfora…”), quella ben spazzolata (più di cento colpi…) da Stenio Solinas (“Mai un briciolo di grandezza, mai una scintilla di follia, mai il piacere per le cose belle, sempre per le cose ‘comode’, lo svaccamento in casa nei giorni festivi, il lavaggio della macchina, lui in tuta, lei anche, con in più le pantofole… il mediocre limbo dei borghesi che pensano che questo sia il paradiso.”). Detto poi dal ‘destro’ Stenio, quello per cui: “La cultura del piagnisteo è sempre stata di sinistra”…
     Una destra di lotta e di idee, contrapposta alla destra d’ordine e di governo. D’élite ma anche sociale, conservatrice ma pure anarchica, reazionaria ma pronta alla rivoluzione. Anche qui figli contro i padri, fiori (di zucca) contro i cannoni… Una meta-destra metà a sinistra (diciamo pure, trans…). E poi, al calor bianco, nel suo tour ‘iniziatico’ alla Thor Lorenzo aveva scoperto anche un nero (di pelle) tra i fascisti (un eritreo)…

     Destra-sinistra, sopra-sotto, avanti-dietro (e il Fascismo: sadomaso-gay?). Mai al centro! Per scendere giù dal Walhalla, per il nostro, e il suo engagément a destra, da neo-dadà, sarebbero valse – dadaumpa – le parole da contro-outing del ‘nero’ Buttafuoco. Nell’intervista-scandalo del novembre ’99, in risposta al coming-out di Bobbio, al navigato Norberto il pischello Pietrangelo (e con lui, virtualmente, Lorenzo) confessava: “… Professore, confessione per confessione, io non sono fascista: sono altro. Ho amato lo scandalo di chi gioca da fascista in questo dopoguerra perché è stata questa la prospettiva più inedita da dove ho potuto fare altro, diventare altro, per leggere e studiare in orizzonti ad altri inaccessibili.” Insomma, alla Gianna Preda (glissando su Freda), Lorenzaccio era fascista (immaginario) più che altro per “una forma di civetteria selvaggia.” Fascista in attesa di un ‘rinomina’… O di una nomination (mai di una ‘poltrona’).
     Che dire… anche Papini, per rimanere nella sua Firenze (d’adozione, per Lorenzo), si era inerpicato sugli erti colli alla ricerca di punti di visuale diversi, di un pan-opticon da cui tra-guardare sul mondo. Senza dimenticare Heidegger, uno dei suoi ‘mentori’. Non aveva forse egli affermato (aveva mentito?) di esser diventato nazista per salvare l’università? Come sostiene Ernst Nolte, le sue intenzioni erano rivoluzionarie. Il filosofo ‘nazi’ voleva un cambiamento radicale, era un precursore del Sessantotto. E Lorenzo era sul suo stesso ‘sentiero’. Pieno di sorprese, di ideo-choc e incontri ‘rock’. Mai ‘lento’.  
     E non solo seguace dei maîtres à penser, ma anche sulla scia di mister (o miss?) alla David Bowie, l’algido dandy androgino stile Stefan George fermato alla frontiera con libri su Joseph Goebbels e Albert Speer. Sì, David Bowie, il Jonathan  politically super-uncorrect, l’ossimoro pop-lirico (nel ‘73 premiato come il ‘musicista rock più popolare’ e… ’la donna peggio vestita’) – pure gli occhi dal colore diverso! (un ‘bicolore’ alla Lorenzo) – che, in un’intervista su Playboy, dichiarava: Sì, io credo con forza nel fascismo. Oppure, non più space oddity ma pur sempre glam come il duca bianco, Bryan Ferry, popstar new wave, altro dandy british (Lorenzo, quello post-sessantottino, aveva tutti i suoi ciddì), il quale in un’intervista a un giornale tedesco aveva candidamente incensato aspetti non secondari del regime nazista (pur dissociandosene, in seguito, nella sostanza): “i film di Leni Riefenstahl, gli edifici di Albert Speer, le grandi parate e le bandiere erano semplicemente meravigliose, proprio belle.”
      E di Mussolini, che condivideva (Lorenzo)? Non molto, più che altro non se lo filava, lo teneva in sordina, raggomitolato. Temperandone le punte. Solo, con l’altoparlante, questo suo pensiero, che Lorenzo portava sempre con sé come antidoto alle sue cadute di tono: “Il superuomo, ecco la grande creazione nietzscheana. Quale impulso segreto, quale interna rivolta hanno suggerito al solitario professore di lingue antiche dell’università di Basilea questa superba nozione? Forse il taedium vitae, della vita quale si svolge nelle odierne società civili dove irrimediabile mediocrità trionfa a danno della pianta-uomo. E Nietzsche suona la diana di un prossimo ritorno all’ideale. Ma un ideale diverso fondamentalmente da quello in cui hanno creduto le generazioni passate. Per comprenderlo verrà una nuova specie di spiriti liberi fortificati nella guerra, nella solitudine, nel grande pericolo, spiriti che conosceranno il ghiaccio e i venti, le nevi dell’alta montagna e sapranno misurare con occhio sereno tutta la profondità degli abissi, spiriti dotati di un genere sublime di perversità, spiriti che ci libereranno dall’amore del prossimo della volontà del nulla ridonando alla terra il suo scopo e agli uomini le loro speranze – spiriti nuovi, liberi, molto liberi che trionferanno su Dio e sul Nulla!”          
     E poi, Lorenzo era stufo del ‘conformismo’ dilagante. “La sinistra intellettuale è un clan chiuso. Si vedono, si leggono e si confrontano tra loro. Guai a proporre punti di vista differenti.” Confessione di Paola Mastrocola, scrittrice emergente, bagnata dai (dis)seccati ‘uadi’ post-sessantottini (il ’78 e dintorni). “Portavano tutti l’eskimo, quello con la pelliccetta finta verdemarcio militare. Se non l’avevi, non eri nessuno. Ma questo lo capii dopo. Avevano capelli lunghi e crespi, barbe, baffi, camice larghe di lana a quadri. Mi venne da pensare che chi faceva politica doveva avere i capelli crespi, se no niente. Ma forse era un pensiero qualunquista e io ero una qualunquista dimmerda (…) Per me tutte queste terminologie – di destra, di sinistra, di conservatori, di aristocrazia e democrazia – sono vacue terminologie.” E lui questi termini li usava e ne abusava; talvolta, si identificava con l’uno o con l’altro di essi, ma più spesso, alla Mussolini (almeno a parole), ‘sfasciava’ tutto. Insomma, Lorenzo era come l’Accio del ‘Fasciocomunista’ di Pennacchi (a proposito, ma è vero che il fascismo, almeno ideologicamente, fu una ‘terza posizione’ tra socialdemocrazia e bolscevismo? Fascismo rosso, insomma…): se in classe gli altri stavano con Ettore e qualcun altro era per Achille o Ulisse, lui parteggiava per Diomede, unico e solo. A Lorenz-Accio non era mai piaciuto dire quello che dicevano gli altri…

     Il cimitero è la premessa della Risurrezione. Lorenzo, trovata la chiave d’accesso, travolto dagli eccessi, a rischio di ascesso (ideologico), al suono di Nietzsche e della sua diana fece brillare i coltelli e si lanciò nella mischia. Pour épater le bourgeois. E rischiò grosso, e non solo lividi da manganelli o arrossamenti da lacrimogeni.       
      Una mattina, ‘bucata’ la lezione in facoltà (e non per pasteggiare, da playboy radical chic, al Caffè delle Giubbe Rosse, o per immergersi nell’atmosfera perduta – non per lui – della rivoluzione futurista e delle intemperanze del Dino Campana entratovi per spacciare i suoi Canti orfici, e del trio Papini, Prezzolini e Soffici, perennemente impantanati tra rivoluzione, conservazione o reazione), Lorenzo s’imbucò: andò in trasferta per un incontro ‘speciale’ e, nel cuore del rendez-vous, si ritrovò circondato da un gruppuscolo di mao-mao, sbucati dal nulla. 
     Meglio delinquenti che borghesi...” Lo slargo nei pressi della Normale di Pisa, dove Lorenzo, insieme a un altro fascio, aveva preso il largo, veleggiando di teoria politica e prassi operativa col tipo ‘giusto’ (il terzo del ‘fascio’: l’ospite di riguardo), si fece improvvisamente troppo stretto. E cominciò a ‘bruciare’. Lo spirito di Jünger fremeva, quello di Lorenzo era al passo (dell’oca – comunque preferiva cavalcare la tigre).
     Franz, questo il nome di battaglia del ‘ganzo’, reduce da un ‘campo’ (non Hobbit: erano ancora in vitro) altoatesino, e quindi ben addestrato e motivato (anche nel fisico), non appena si vide circondato dai ‘rossi’ tirò fuori, senza preamboli, la pistola, minacciando di far fuoco e farli fuori. Avrebbe, poi, rivolto l’arma contro di sé – Se avanzo seguitemi! Se indietreggio uccidetemi! Se muoio vendicatemi. Il suo fare, freddo, deciso, inappellabile, vandeano, fu più che convincente. Il suo onore si chiamava fedeltà.
     Action now! La mossa fu da scacco matto. I rossi sbiancarono e se la diedero a gambe, Lorenzo rimase quasi senza. Ma ‘crebbe’. Maturò, fece il botto. Come uno spumante brut (lui per champagne e caviale andava in brodo di giuggiole). D’altronde, si sa (memento Holderlin), “la salvezza cresce dove cresce il pericolo…”

     Questa, imprevista e d’abrut, la sua ‘iniziazione’. Lui era ormai un ‘uomo’, un ‘soldato nel bosco’. Un cavaliere in più nella piazza (dei Cavalieri, è Normale… uno dei tanti giochi di parole di cui già allora si dilettava). Un vero uomo, non più il giuggiolone sempre imboscato (o il bischero sempre in agguato). E i veri uomini, quelli ke se ne fregano, cantano – Men sing –: “Ce ne freghiamo! La signora Morte fa la civetta in mezzo alla battaglia, si fa baciare solo dai soldati. Sotto ragazzi, facciamole la corte, diamole un bacio sotto la mitraglia, lasciamo le altre donne agli imboscati! A noi!”  
Certo che a ripensarci – questa una ricorrente riflessione postuma di Lorenzo – quel Franz assomigliava fin troppo al Gianni Nardi delle foto d’epoca! Da rimanerci di sasso…

     Pietra dello scandalo, angeli, draghi, fuochi fatui, salti di livello... Non solo il salto nel fascio, ma anche nel ‘cerchio’: il tuffo nell’oceano esoterico. Complici le letture cui era stato introdotto dal compagno/camerata nazi-maoista, un ossimorico room-mate dai gusti fin troppo ‘decadenti’. Rodolfo ‘il fascio’ (il suo compare nell’incontro a Pisa, quello che gli aveva presentato Franz), scortato da una sorta di mary-jane di scarto che ogni tanto gli procurava (la chiamava kif: un up-to-date haoma inebriante per trance estatiche), gli aveva aperto le porte della percezione. E anche della carne.
     “Ospedali, galere e puttane: sono queste le università della vita. Io ho preso parecchie lauree…” Toltisi i pannolini bagnati, dopo un fugace e timido tentativo di scimmiottare Charles Bukowski, e non solo quello di cunt is the biggest sky of them all (ma un suo amico per la pelle – cunto de li cunti – s’imbucò per davvero e ci lasciò le penne), Lorenzo, rimasto in panne quel poco che gli avrebbe permesso di afferrare tutto del ’68 (e del successivo), uscì capovolto ma indenne dalle secche delle Sirti.
     “Vita, morte, la vita nella morte. Morte, vita, la morte nella vita. Noi col filo, col filo della vita nostra sorte filammo a questa morte.” Lorenzo amava la vita, ma non ferocemente, disperatamente. Non ci teneva proprio a fare, alla Michelstaedter, la crisalide o, come suprema trasgressione, alla Pasolini, il tuffo nella morte, il grande nulla lucente. Anche se, tra camerati, si diceva: “chi divide pane e morte non si scioglie sulla terra.”
     Non voleva essere, alla Céline, una scheggia di luce che finisce nella notte. Né come il suo compagno di appartamento (di Carrara, anarchico di marmo – allora c’era un coacervo di colori, amicizie, rivalità, con il confine tra odio e amore spesso labile –, ma pronto a sciogliersi al primo colpo), finito nel vortice della droga senza neppure tirare la catena (con quanta struggente nostalgia Lorenzo ricordava la sua voce roca e la sua chitarra stoica modulare, all’unisono, il suo autobiografico canto d’amore: Non gettarmi in pasto i tuoi sedici anni, te li divorerei…). Lui voleva essere – questa volta Michelstaedter andava bene – un ‘persuaso’: colui che non dipende dal mondo e dalle circostanze, ma solamente da se stesso. Non un essere-per-qualcuno, ma, detto senza retorica, un-essere-che-basta-per-sé, la sintesi suprema di conoscenza e azione.
     Vita, morte, la vita nella morte. Morte, vita, la morte nella vita. Sì, c’era un montante interesse per la morte negli anni Sessanta (e il suo compagno cantautore si era fatto contagiare, acidamente). “Passa la gioia, passa il dolore, accettate la vostra sorte, ogni cosa che vive muore e nessuna cosa vince la morte … spegnete l’infausta brama che vi trae dal retto sentier.”
     Cupio dissolvi… Morte borghese, morte burina, ma anche morte ‘ariana’, nella ‘buriana’, come quella del Ce ne freghiamo! cantata da Mario Castellacci nel suo fascistissimo Men Sing (a proposito, anche Women sing: “E un cuor di donna vi farà la corte, che vi ha seguito sotto la mitraglia, un cuore che disprezza gli imboscati!”).

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