SESSANTOTTO
ROUGE et NOIR
Volteggiando su Facebook mi è
capitato d’incocciare chi presume di parlare del ’68 essendo nato negli anni ’60…
o, pur più datato, non l’ha vissuto veramente
sul campo (io, ancor giovincello, l’ho vissuto pericolosamente, cariche di polizia incluse, tra una lezione
universitaria e uno speed date in
Piazza dei Miracoli, all’ombra della Torre; e
ho fatto incontri con uomini straordinari…).
Ecco, quindi, sia pur con qualche “travisamento” (ma la realtà era ancor
più vivida), un breve stralcio del mio ’68 sul campo (dei miracoli, e non
solo). Lì si forgiò gran parte del mio da-sein
(esser-ci). E lì si sviluppò la mia Weltanschauung
(visione del mondo), tra Oriente e Occidente, in posizione “meta” tra Destra e
Sinistra: in particolare, un mio amico universitario (nazimaoista si definiva –
o anarco-fascista) dalla sua Terza
Posizione m’introdusse definitivamente a Nietzsche (per dirne una passò un’intera
notte prima degli esami a “spiegarmi”
Così parlò Zarathustra). E così
imparai a cavalcare la tigre…
Lo stralcio, come spesso accade, è tratto dal mio Gocce di
pioggia a Jericoacoara (Lorenzo è il mio avatar/alterego).
Il ‘68 …non solo comunista. Anche fascista. Il diavolo e l’acqua santa,
il rosso e il nero. Rozzo ma sincero. Vero. Paradossale, stendhaliano, ma solo
fino a un certo punto. Back in Black. Lorenzo aveva
scoperto un ‘fascismo’ nuovo. Diverso dalla destra con la forfora (fosse solo
questo: “le loro giacche dai colori
ridicoli, le cravatte, Dio, che cravatte… le scarpe con la para, la
forfora…”), quella ben spazzolata (più di cento
colpi…) da Stenio Solinas (“Mai un briciolo di grandezza, mai una scintilla
di follia, mai il piacere per le cose belle, sempre per le cose ‘comode’, lo
svaccamento in casa nei giorni festivi, il lavaggio della macchina, lui in
tuta, lei anche, con in più le pantofole… il mediocre limbo dei borghesi che
pensano che questo sia il paradiso.”).
Detto poi dal ‘destro’ Stenio, quello per cui: “La cultura del piagnisteo è
sempre stata di sinistra”…
Una destra di lotta e di idee, contrapposta alla destra d’ordine e di
governo. D’élite ma anche sociale, conservatrice ma pure anarchica, reazionaria
ma pronta alla rivoluzione. Anche qui figli contro i padri, fiori (di zucca)
contro i cannoni… Una meta-destra metà a sinistra (diciamo pure, trans…). E
poi, al calor bianco, nel suo tour ‘iniziatico’ alla Thor Lorenzo aveva
scoperto anche un nero (di pelle) tra i fascisti (un eritreo)…
Destra-sinistra, sopra-sotto,
avanti-dietro (e il Fascismo: sadomaso-gay?). Mai al centro! Per scendere giù
dal Walhalla, per il nostro, e il suo engagément a destra, da neo-dadà,
sarebbero valse – dadaumpa – le parole da contro-outing del ‘nero’
Buttafuoco. Nell’intervista-scandalo del novembre ’99, in risposta al coming-out
di Bobbio, al navigato Norberto il pischello Pietrangelo (e con lui,
virtualmente, Lorenzo) confessava: “… Professore, confessione per
confessione, io non sono fascista: sono altro. Ho amato lo scandalo di chi
gioca da fascista in questo dopoguerra perché è stata questa la prospettiva più
inedita da dove ho potuto fare altro, diventare altro, per leggere e studiare
in orizzonti ad altri inaccessibili.” Insomma, alla Gianna Preda (glissando su Freda), Lorenzaccio era
fascista (immaginario) più che altro per “una forma di civetteria
selvaggia.” Fascista in attesa di un ‘rinomina’… O di una nomination (mai
di una ‘poltrona’).
Che dire… anche Papini, per rimanere nella sua Firenze (d’adozione, per
Lorenzo), si era inerpicato sugli erti colli alla ricerca di punti di visuale
diversi, di un pan-opticon da cui tra-guardare sul mondo. Senza
dimenticare Heidegger, uno dei suoi ‘mentori’. Non aveva forse egli affermato
(aveva mentito?) di esser diventato nazista per salvare l’università? Come
sostiene Ernst Nolte, le sue intenzioni erano rivoluzionarie. Il filosofo
‘nazi’ voleva un cambiamento radicale, era un precursore del Sessantotto. E
Lorenzo era sul suo stesso ‘sentiero’. Pieno di sorprese, di ideo-choc e
incontri ‘rock’. Mai ‘lento’.
E non solo seguace dei maîtres à penser, ma anche sulla scia di mister (o miss?) alla David Bowie,
l’algido dandy androgino stile Stefan George fermato alla frontiera con libri
su Joseph Goebbels e Albert Speer. Sì, David Bowie, il Jonathan politically super-uncorrect, l’ossimoro pop-lirico (nel ‘73
premiato come il ‘musicista rock più popolare’ e… ’la donna peggio vestita’) – pure gli occhi dal colore diverso! (un
‘bicolore’ alla Lorenzo) – che, in un’intervista su Playboy,
dichiarava: “… Sì, io credo con
forza nel fascismo.” Oppure, non più space oddity ma pur sempre glam
come il duca bianco, Bryan Ferry, popstar new wave, altro dandy british
(Lorenzo, quello post-sessantottino, aveva tutti i suoi ciddì), il quale in
un’intervista a un giornale tedesco aveva candidamente incensato aspetti non
secondari del regime nazista (pur dissociandosene, in seguito, nella sostanza):
“i film di Leni Riefenstahl, gli edifici
di Albert Speer, le grandi parate e le bandiere erano semplicemente
meravigliose, proprio belle.”
E di Mussolini, che condivideva (Lorenzo)? Non molto, più che altro non
se lo filava, lo teneva in sordina, raggomitolato. Temperandone le punte. Solo,
con l’altoparlante, questo suo pensiero, che Lorenzo portava sempre con sé come
antidoto alle sue cadute di tono: “Il superuomo, ecco la grande creazione
nietzscheana. Quale impulso segreto, quale interna rivolta hanno suggerito al
solitario professore di lingue antiche dell’università di Basilea questa
superba nozione? Forse il taedium vitae, della vita quale si svolge nelle
odierne società civili dove irrimediabile mediocrità trionfa a danno della
pianta-uomo. E Nietzsche suona la diana di un prossimo ritorno all’ideale. Ma
un ideale diverso fondamentalmente da quello in cui hanno creduto le
generazioni passate. Per comprenderlo verrà una nuova specie di spiriti liberi
fortificati nella guerra, nella solitudine, nel grande pericolo, spiriti che
conosceranno il ghiaccio e i venti, le nevi dell’alta montagna e sapranno
misurare con occhio sereno tutta la profondità degli abissi, spiriti dotati di
un genere sublime di perversità, spiriti che ci libereranno dall’amore del
prossimo della volontà del nulla ridonando alla terra il suo scopo e agli
uomini le loro speranze – spiriti nuovi, liberi, molto liberi che trionferanno
su Dio e sul Nulla!”
E poi, Lorenzo era stufo del ‘conformismo’ dilagante. “La sinistra intellettuale è un clan chiuso.
Si vedono, si leggono e si confrontano tra loro. Guai a proporre punti di vista
differenti.” Confessione di Paola Mastrocola, scrittrice emergente, bagnata
dai (dis)seccati ‘uadi’ post-sessantottini (il ’78 e dintorni). “Portavano tutti l’eskimo, quello con la
pelliccetta finta verdemarcio militare. Se non l’avevi, non eri nessuno. Ma
questo lo capii dopo. Avevano capelli lunghi e crespi, barbe, baffi, camice
larghe di lana a quadri. Mi venne da pensare che chi faceva politica doveva
avere i capelli crespi, se no niente. Ma forse era un pensiero qualunquista e
io ero una qualunquista dimmerda (…) Per me tutte queste terminologie – di
destra, di sinistra, di conservatori, di aristocrazia e democrazia – sono vacue
terminologie.” E lui questi termini li usava e ne abusava; talvolta, si
identificava con l’uno o con l’altro di essi, ma più spesso, alla Mussolini
(almeno a parole), ‘sfasciava’ tutto. Insomma, Lorenzo era come l’Accio del
‘Fasciocomunista’ di Pennacchi (a proposito, ma è vero che il fascismo, almeno
ideologicamente, fu una ‘terza posizione’ tra socialdemocrazia e bolscevismo?
Fascismo rosso, insomma…): se in classe gli altri stavano con Ettore e qualcun
altro era per Achille o Ulisse, lui parteggiava per Diomede, unico e solo. A
Lorenz-Accio non era mai piaciuto dire quello che dicevano gli altri…
“Il cimitero è la premessa della Risurrezione.”
Lorenzo, trovata la chiave d’accesso, travolto dagli eccessi, a rischio di
ascesso (ideologico), al suono di Nietzsche e della sua diana fece brillare i
coltelli e si lanciò nella mischia. Pour épater le bourgeois. E rischiò grosso, e non solo lividi da manganelli o arrossamenti
da lacrimogeni.
Una mattina, ‘bucata’ la lezione in facoltà (e non per
pasteggiare, da playboy radical chic, al Caffè delle Giubbe Rosse, o per
immergersi nell’atmosfera perduta – non per lui – della rivoluzione futurista e
delle intemperanze del Dino Campana entratovi per spacciare i suoi Canti
orfici, e del trio Papini, Prezzolini e Soffici, perennemente impantanati tra
rivoluzione, conservazione o reazione), Lorenzo s’imbucò: andò in trasferta per
un incontro ‘speciale’ e, nel cuore del rendez-vous, si ritrovò circondato da
un gruppuscolo di mao-mao, sbucati dal nulla.
“Meglio delinquenti che borghesi...”
Lo slargo nei pressi della
Normale di Pisa, dove Lorenzo, insieme a un altro fascio, aveva preso il largo,
veleggiando di teoria politica e prassi operativa col tipo ‘giusto’ (il terzo
del ‘fascio’: l’ospite di riguardo), si fece improvvisamente troppo stretto. E
cominciò a ‘bruciare’. Lo spirito di Jünger fremeva, quello di Lorenzo era al
passo (dell’oca – comunque preferiva cavalcare la tigre).
Franz, questo il
nome di battaglia del ‘ganzo’, reduce da un ‘campo’ (non Hobbit: erano
ancora in vitro) altoatesino, e quindi ben addestrato e motivato (anche
nel fisico), non appena si vide circondato dai ‘rossi’ tirò fuori, senza
preamboli, la pistola, minacciando di far fuoco e farli fuori. Avrebbe, poi,
rivolto l’arma contro di sé – Se avanzo seguitemi! Se indietreggio
uccidetemi! Se muoio vendicatemi. Il suo fare, freddo, deciso,
inappellabile, vandeano, fu più che convincente. Il suo onore si
chiamava fedeltà.
Action now! La mossa fu da
scacco matto. I rossi sbiancarono e se la diedero a gambe, Lorenzo rimase quasi
senza. Ma ‘crebbe’. Maturò, fece il botto. Come uno spumante brut (lui per
champagne e caviale andava in brodo di giuggiole). D’altronde, si sa (memento
Holderlin), “la salvezza cresce dove cresce il
pericolo…”
Questa, imprevista e d’abrut, la sua
‘iniziazione’. Lui era ormai un ‘uomo’, un ‘soldato nel bosco’. Un cavaliere in
più nella piazza (dei Cavalieri, è Normale… –
uno dei tanti giochi di parole di cui già allora si dilettava). Un vero uomo, non più il giuggiolone
sempre imboscato (o il bischero sempre in agguato). E i veri uomini, quelli ke se ne fregano, cantano – Men sing –: “Ce ne freghiamo! La signora Morte fa la
civetta in mezzo alla battaglia, si fa baciare solo dai soldati. Sotto ragazzi,
facciamole la corte, diamole un bacio sotto la mitraglia, lasciamo le altre
donne agli imboscati! A noi!”
Certo che a ripensarci – questa una ricorrente riflessione postuma di Lorenzo – quel Franz assomigliava fin troppo al Gianni Nardi delle foto d’epoca! Da rimanerci di sasso…
Certo che a ripensarci – questa una ricorrente riflessione postuma di Lorenzo – quel Franz assomigliava fin troppo al Gianni Nardi delle foto d’epoca! Da rimanerci di sasso…
Pietra dello scandalo, angeli, draghi,
fuochi fatui, salti di livello... Non solo il salto nel fascio, ma anche nel
‘cerchio’: il tuffo nell’oceano esoterico. Complici le letture cui era stato
introdotto dal compagno/camerata nazi-maoista, un ossimorico room-mate
dai gusti fin troppo ‘decadenti’. Rodolfo ‘il fascio’ (il suo compare
nell’incontro a Pisa, quello che gli aveva presentato Franz), scortato da una
sorta di mary-jane di scarto che ogni tanto gli procurava (la chiamava kif:
un up-to-date haoma inebriante per trance estatiche), gli
aveva aperto le porte della percezione. E anche della carne.
“Ospedali, galere e puttane: sono queste le università della vita. Io
ho preso parecchie lauree…” Toltisi i pannolini bagnati, dopo un fugace e
timido tentativo di scimmiottare Charles Bukowski, e non solo quello di cunt
is the biggest sky of them all (ma un suo amico per la pelle – cunto de li
cunti – s’imbucò per davvero e ci lasciò le penne), Lorenzo, rimasto in panne
quel poco che gli avrebbe permesso di afferrare tutto del ’68 (e del
successivo), uscì capovolto ma indenne dalle secche delle Sirti.
“Vita, morte, la vita nella morte. Morte,
vita, la morte nella vita. Noi col filo, col filo della vita nostra sorte
filammo a questa morte.” Lorenzo amava la vita, ma non ferocemente, né
disperatamente. Non ci teneva proprio a fare, alla
Michelstaedter, la crisalide o, come suprema trasgressione, alla Pasolini, il tuffo nella morte, il grande nulla
lucente. Anche se, tra camerati, si diceva: “chi divide pane e morte non
si scioglie sulla terra.”
Non voleva
essere, alla Céline, una scheggia di luce che finisce nella notte. Né
come il suo compagno di appartamento (di Carrara, anarchico di marmo – allora
c’era un coacervo di colori, amicizie, rivalità, con il confine tra odio e
amore spesso labile –, ma pronto a sciogliersi al primo colpo), finito nel
vortice della droga senza neppure tirare la catena (con quanta struggente
nostalgia Lorenzo ricordava la sua voce roca e la sua chitarra stoica modulare,
all’unisono, il suo autobiografico canto d’amore: Non gettarmi in pasto i
tuoi sedici anni, te li divorerei…). Lui voleva essere – questa volta
Michelstaedter andava bene – un ‘persuaso’: colui che non dipende dal mondo e
dalle circostanze, ma solamente da se stesso. Non un essere-per-qualcuno, ma,
detto senza retorica, un-essere-che-basta-per-sé, la sintesi
suprema di conoscenza e azione.
Vita, morte, la vita nella morte. Morte,
vita, la morte nella vita. Sì, c’era un montante interesse per la morte
negli anni Sessanta (e il suo compagno cantautore si era fatto contagiare, acidamente). “Passa la gioia, passa il dolore, accettate la vostra sorte, ogni cosa
che vive muore e nessuna cosa vince la morte … spegnete l’infausta brama che vi
trae dal retto sentier.”
Cupio
dissolvi… Morte
borghese, morte burina, ma anche
morte ‘ariana’, nella ‘buriana’, come quella del Ce ne freghiamo! cantata da Mario Castellacci nel suo fascistissimo
Men Sing (a proposito, anche Women sing: “E un cuor di donna vi farà la
corte, che vi ha seguito sotto la mitraglia, un cuore che disprezza gli
imboscati!”).
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